Il mito della casa di Giulietta

Una famiglia Dal Cappello risiedeva all’attuale numero 23 della omonima via di Verona, nella bella casa di impianto medievale che è oggi sede del museo Casa di Giulietta.
Nella chiave di volta dell’arco intero che dalla via immette nel cortile dell’edificio, troviamo infatti l’emblema che ne conferma la proprietà, con il cappello scolpito a rilievo nel marmo, mentre nel suo insieme casa e cortile si presentano pesantemente modificati dal susseguirsi nei secoli di vari interventi conservativi e di restauro.
L’edificio, forse già in età tardomedievale, fu adibito a "stallo", cioè a luogo di scambi commerciali o destinato all’ospitalità dei forestieri (hospitium a Cappello).
Vari interventi di riadattamento furono compiuti a partire dall’acquisizione da parte del Comune del fabbricato (1907), ridotto all’epoca in condizione di forte degrado.
I lavori di restauro che portarono l’edificio esterno al suo attuale aspetto furono realizzati intorno al 1940 dall’allora direttore dei Musei Civici, Antonio Avena; vi furono così aggiunti elementi in stile romanico e gotico di varia provenienza, perseguendo un’idea ancora romantica di Medioevo, che comportò tra l’altro alcune incongruenze anacronistiche, come l’inserimento di finestre trilobate.
Lo stesso celeberrimo balcone, forse in origine parte di un sarcofago, venne in quell’occasione integrato nelle parti laterali e collocato al primo piano della Casa di Giulietta, non potendo certo mancare un elemento così essenziale della leggenda.
L’intervento di Avena, spesso incurante delle norme teoriche e tecniche del restauro, si dimostrò piuttosto incline a seguire, anche negli allestimenti interni, suggestioni derivanti dalle scenografie hollywoodiane del film girato da George Cukor nel 1936.
 

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